Professoressa Sereno M.C.

Professoressa, qual è stato il suo percorso di ricerca nell’ambito delle mobilitazioni e delle Relazioni Internazionali?

Ci sono due evoluzioni che hanno seguito le mie ricerche al rigurado: la prima pista è centrata sui lavoratori tranfrontalieri, sulla mobilità dei lavoratori e quindi:

-sulla logica di quanto essa fosse voluta da questa prima collaborazione europea, poi diventata comunità e poi unione europea;

-di quanto era necessaria questa spinta o quanto invece fosse un flusso naturale dei lavoratori;

-su come questi ultimi potevano trarre beneficio dall’evoluzione del quadro legislativo europeo.

La seconda pista, invece, si focalizza molto sul diritto amministrativo, e quindi su tutto ciò che era il confronto, tenendo presente il fatto che parliamo di tanti anni fa, tra quelle che erano le comunità locali, e come si comportavano in modo diverso i comuni piuttosto che le regioni e come quest’ultime venivano supportate. La mia tesi di dottorato è più antropologica: va ad analizzare il concetto di frontiera negli ambiti degli spazi naturali, in particolar modo degli spazi di montagna; di quanto esiste o non esiste una frontiera e quanto anche l’aspetto geografico della nostra frontiera non agevoli la comunicazione, e di quanto tale rappresentazione sia più un concetto “top down” rispetto a come lo sia effettivamente vissuto dalle popolazioni locali, in confronto anche alla legislazione europea.

Qual è stata la sua esperienza personale che l’ha portata a intraprendere i suoi studi sulla frontiera?

Per quanto riguarda la mia esperienza personale, venendo inizialmente da finale ligure, la mia scelta è stata quella di approfittare all’Università di Nizza di un percorso di studi ai tempi internazionale, combinando così l’aspetto linguistico con l’aspetto economico, sfruttando la mia esperienza acquisita del francese durante i miei studi delle superiori e scegliendo in seguito di fare economia. Sono stata la prima studentessa di economia a Nizza proveniente da un paese comunitario, non essendo stati ancora mai accolti studenti comunitari. Con un esame linguistico svolto in consolato, insieme al dossier inviato in seguito all’Università di Nizza, mi hanno accettata al percorso di studi in economia gestionale.

Alla luce del suo ricco bagaglio di esperienze sia di studio sia di lavoro a livello internazionale, come vede la situazione attuale riguardo ai movimenti transfrontalieri?

Di fondo, sono movimenti molto naturali, le situazioni di guerra e di crisi economica ci sono sempre state, e hanno da sempre portato a questi grandi flussi migratori. Noi siamo stati migranti nel tempo. Se bisogna vederla dal punto di vista europeo, questo progetto risulta essere solo un’unione economica e non politica. Di conseguenza, almeno che non ci siano dei forti segnali da parte di uno dei paesi “fondatori” di uscire da questa unione economica, non ci sarà una grande revisione del progetto. Ad oggi manca una vera visione comunitaria, è per questo motivo che ci sono molti dissidi, perché vediamo ancora gli interessi dei singoli paesi e non i loro interessi collettivi. Così il problema dei migranti, mandati da un paese all’altro, non si vede nella prospettiva dell’accoglienza. La crescita del nostro continente dipende dai flussi, per garantire continuità generazionale da un lato e dall’altro per garantire il sostegno al lavoro. Questa è la difficoltà di fondo dell’attuale progetto europeo.

Per quanto riguarda i contrasti politici tra la Francia e l’Italia avuti in quest’ultimo anno riguardo ad esempio la polizia di frontiera e i flussi migratori, pensa che la situazione si evolverà in maniera negativa, andando verso una chiusura da entrambe le parti; oppure ci sarà occasione grazie agli eventi recenti, ad esempio le grandi manifestazioni avvenute in Francia, di riuscire a toccare l’argomento del fenomeno migratorio con uno spirito diverso?

Ad oggi ci sono diverse chiavi di lettura dello scenario: c’è ad esempio questa radicalizzazione politica che fa sì che molti partiti facciano della questione migranti il loro “leitmotiv”, e di conseguenza potrebbe variare in base a quelle che sono l’evolversi delle singole politiche. Non ritengo che l’aspetto del flusso migratorio sia qualche cosa che “diventi determinante a breve”, perché è una questione fortemente politica che va al di là di quello che può essere un progetto ad ampio respiro. Ciò che invece può creare un problema è una forma di protezionismo per motivi di sicurezza non legata necessariamente ai flussi migratori: i flussi sono una parte naturale del percorso di una nazione. La situazione che si sta vivendo oggi diventa un alibi per dire “chiudiamo le frontiere”. In realtà, la questione è di comprendere quanto per motivi di sicurezza si tenderà a chiudere le frontiere. Questa è una forma di protezionismo diversa, che non c’entra nulla con i flussi migratori. Dato che il progetto europeo nasce come progetto economico, se ci sono queste serie di manifestazioni che stiamo vedendo oggi, manifestazioni per la prima volta spontanee e non sindacalizzate, questo malessere generalizzato potrebbe portare a conseguenze, sempre però dal punto di vista economico. Sono segnali di un malessere generale che sta emergendo e di una situazione che dovrà evolversi verso qualche cosa di diverso. Ci sono tanti elementi che ribollono all’interno di questa complessa realtà europea e non. Ad oggi, in realtà, bisogna tenere conto che all’interno dello spazio europeo, più che riscontrare somiglianze si tende a notare l’esasperazione delle tradizioni legate a ogni paese: quindi ci si accorge che, tramite il confronto, sussistono differenze molto importanti tra i vari paesi. Differenze che tuttavia bisogna stare attenti a non strumentalizzare a seconda della comunità di provenienza, che si relaziona alla diversità fuori dal proprio contesto culturale.